Festa di San Martino e Li caggiun

“A San Martino ogni mosto diventa vino” o *Per San Martino cadon le foglie e si spilla il vino o ancora *Per San Martino si mangia la castagna e si beve il buon vino. Tanti proverbi, tutti simili ma il binomio che ricorre è sempre quello tra San Martino e il vino che da mosto diventa pronto per essere bevuto.

Una data ricca di simbologia quella di oggi legata alla Festa di San Martino perché nel corso dei secoli ha sempre rappresentato un momento di passaggio scandendo quelli che erano i lavori agricoli a cavallo tra una stagione e l’altra. Era un tempo, diremmo oggi, anche di bilanci e previsioni, poiché si attendevano le disposizioni che i proprietari terrieri davano ai loro braccianti per il futuro, ma anche per godere dei frutti autunnali della terra, tra cui le castagne nei luoghi in cui ovviamente fruttificavano. E le castagne, al pari del vino, erano un bene prezioso per coloro che le possedevano perché venivano barattate con altri beni di primaria necessità ed in particolare con il vino che per questa ragione doveva essere pronto per l’11 novembre. Le castagne ovviamente, nel passato come ancora oggi, non venivano consumate solo abbrustolite o bollite ma grazie al fatto di essere nutrienti da sempre sono state usate per i dolci o macinate per creare la farina per il pane o la pasta. Io stessa le ho usate in molte delle mie ricette; se siete curiosi ne trovate alcune cliccando qui.

Tornando dunque all’11 novembre, entro oggi doveva essere pronto il vino novello e anche qui bisogna fare due incisi: il primo riguarda il vino novello, diverso dal vino nuovo. Questi infatti vengono prodotti con due procedimenti diversi: mentre il vino nuovo è il frutto dell’ultima vendemmia, per vino novello che ha un valore alcolico più basso ed è maggiormente fruttato, si intende un prodotto ottenuto con una macerazione carbonica, preparato dunque con una specifica tecnica e senza separare gli acini dal raspo. Tra le altre cose le bottiglie di vino novello non possono essere immesse in vendita prima del 30 ottobre.

Il secondo inciso invece riguarda la potenza simbolica del vino: nel corso dei millenni gli è sempre stata attribuita una valenza molto forte, tanto da essere un elemento fondamentale per i Cattolici (pensiamo al Sangue di Cristo) o per gli Ebrei mentre ad esempio è vietato nell’Islam.

Ma se il vino è citato nella maggior parte dei proverbi che riguardano questa festività, non dobbiamo dimenticare anche altri modi di dire legati sempre alle tradizioni rurali, quando i proverbi aiutavano a scandire il tempo, come ad esempio “Per san Martino l’inverno è più vicino”, con il riferimento all’avvicinarsi dei rigori invernali. Nella civiltà contadina quindi era una festa molto sentita nella quali si glorificava sì il Santo, ma era anche un’occasione per celebrale l’ultimo raccolto e le ultime provviste preparate per affrontare i mesi invernali.

In alcune zone dell’Abruzzo oggi si gustano “Li caggiun di San Martino” da accompagnare con il vino novello. Ho voluto onorare la tradizione e ieri sera ne ho preparati alcuni. Vi lascio la ricetta ricevuta in eredità da una persona anziana la cui mamma glieli preparava da bambino.

INGREDIENTI: 400 g di farina, 150 g di zucchero, mezzo bicchiere d’olio evo, 1 bicchiere di latte, 2 uova, 1 bustina di lievito, marmellata d’uva e zucchero a velo.

PROCEDIMENTO

In una terrina mescolare farina, zucchero, lievito e formare una montagnetta. Al centro della montagnetta rompere le uova, aggiungere olio e latte e lavorare bene fino a raggiungere un composto omogeneo. Lasciar riposare 10 minuti. Stendere l’impasto fino ad arrivare ad uno spessore di circa 4 mm e formare tanti cerchi aiutandosi con un coppa pasta. Infarinare bene i dischetti affinché non si attacchino l’uno con l’altro. Farcire ogni dischetto con la marmellata d’uva e chiudere piegando a mezza luna. Sigillare bene le estremità usando i rebbi di una forchetta. Disporre i ravioli una placca coperta da carta forno e informare a 180°C per circa venti minuti ma monitorando di continuo affichè siano ben dorati ma non troppo coloriti. A cottura ultimata lasciarli riposare e una volta tiepidi disporli su un vassoio da portata e spolverare con abbondante zucchero a velo.

 

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